Natale tricolore

Quest’anno il Natale romano si è tinto di tre colori particolari: il verde, il bianco e il rosso. Credo sia un modo per ricordarci che il nostro Paese è nato ufficialmente 150 fa. Senza voler entrare in polemica con il sanguinoso processo di unificazione nazionale, vorrei solamente spendere poche parole sul Natale e sull’italianità, poiché non riesco proprio a trovare alcuna connessione tra la celebrazione dei 150 anni dal Natale d’Italia e il Natale cristiano.

In primo luogo, il motivo per cui addobbiamo le nostre case, le nostre piazze e i nostri abeti, è, se non erro, la celebrazione della nascita, più di duemila anni fa, di Gesù di Nazaret, per i cristiani Messia e Dio incarnato, venuto al mondo a Betlemme dalla Vergine Maria, la quale lo concepì per opera dello Spirito Santo, come annunciatole dall’Arcangelo Gabriele. Da quell’evento, la storia dell’umanità è cambiata per sempre ed è questo quello che noi cristiani ricordiamo ogni anno nel mese di dicembre quando, consapevoli di non essere all’altezza della Buona Novella di cui siamo chiamati ad essere testimoni, cioè Cristo, chiediamo a Nostro Signore di venire a nascere ancora nei nostri cuori, ogni istante, ogni giorno, ogni mese ed ogni anno perché noi diveniamo sempre più simili a Lui.

In secondo luogo, il Natale di Cristo, nella nostra città di Roma, si celebra almeno dal III secolo d.C. (Mario Righetti, Storia liturgica, vol. II, Milano, Ancora, 1969, pp. 65-70), ancor prima che l’imperatore Costantino rendesse, nel 313, con l’Editto di Milano, il cristianesimo religio licita (in pratica, tale editto riconosceva ai cristiani di professare liberamente la loro fede, dopo le numerose persecuzioni subite). Se, in un primo tempo, si è creduto che la data di celebrazione del Natale di Gesù il giorno 25 dicembre non fosse altro che la sovrapposizione con la festa pagana del Dies Natalis Solis Invicti (il Sole Invitto era una divinità che, per molti versi, aveva caratteristiche simili a quelle di Gesù, come luce che illumina le tenebre e sole di giustizia), recenti studi hanno invece dimostrato, dall’analisi dei manoscritti del Mar Morto rinvenuti a Qumran, che anche storicamente la data di nascita di Gesù corrisponderebbe al giorno in cui i cristiani la celebrano. Per questo rimando al bellissimo articolo di Vittorio Messori “Gesù nacque davvero quel 25 dicembre”, apparso sul Corriere della Sera il 9 luglio del 2003.
Abbiamo constatato, dunque, che Roma celebra il Natale di Cristo da quasi due millenni, il che vuol dire che tutta Italia lo celebra, così come buona parte del mondo, da tantissimo tempo, secolo più, secolo meno. Possiamo, addirittura, dire con orgoglio che è l’Italia ad aver “esportato” tale festa nel mondo, se pensiamo anche al fatto che il cristianesimo sconvolge completamente la vita sociale dell’epoca costantiniana, con una vera e propria rivoluzione copernicana in cui il Dio si fa uomo e, ancor di più, bambino, in un mondo e in un’era in cui il bambino era considerato nihil, cioè un nulla, completamente soggetto alla patria potestas, l’autorità del padre, che poteva disporne come riteneva opportuno, in vita e in morte.
Con il Natale di Cristo, l’Italia è divenuta detentrice di valori come la sacralità e la centralità della vita umana, a discapito di ciò che avviene oggi nel nostro Paese, sempre più in crisi sociale, economica, culturale e morale, proprio per aver dimenticato le basi della civiltà che ha esportato nel mondo.
Quello del 2011 sarà ricordato come l’anno dello spread, degli Eurobond, della Borsa, della finanza mondiale incontrollata, delle pressioni sui governi nazionali e della perdita della sovranità. E l’Italia arranca sotto il peso di una mancata competitività economica. Quel verde, quel bianco e quel rosso che illuminano la nostra città, dunque, che cosa celebrano? Il Dio che, fattosi bambino, ha reso l’uomo divino? Oppure l’uomo che, reso merce, è abbandonato alla mercé di uno Stato che legifera contro la vita, contro la dignità umana, contro i valori non negoziabili e contro quella stessa fede che ha reso grande e unito il nostro Paese prima ancora delle scorrerie di Garibaldi?
Dov’è, oggi, Cristo nel nostro Paese e dove sono i Grandi del nostro passato? Caravaggio, Dante, Michelangelo, Leonardo, San Francesco, Santa Chiara, Santa Caterina da Siena e tanti, tanti altri? Forse questi immensi personaggi non erano italiani o non hanno dato alla nostra nazione l’identità che l’ha resa il Paese più ricco al mondo in patrimonio umano, culturale, spirituale, artistico, architettonico e musicale? Eppure, a volte si ha l’impressione che gli italiani apprezzino molto di più la marcetta militare che hanno come inno nazionale (e che, mi piacerebbe sottolinearlo, si conclude con la frase “Stringiamci a coorte” e non con “Stringiamoci a corte”, come i calciatori, nuovi vati e nuovi eroi dell’itala stirpe, cantano nel tripudio generale) e le mediocri personalità del risorgimento più della loro vera arte e dei loro veri Padri Fondatori, che non sono certo Cavour, Vittorio Emanuele II, Mazzini e Garibaldi. Come possiamo celebrare il Natale associandolo a un evento come l’unificazione d’Italia, portata a termine da chi voleva cancellare il Natale e la Chiesa?
Quello che voglio augurare al mio Paese oggi è di tornare alle radici, all’essenza della sua identità, che può essere ricercata anche nella sua lingua, una lingua nata per essere poesia, un idioma dalle mille sfaccettature e dalle mille eccezioni, la cui parola più utilizzata è, forse, “bello”. Noi italiani siamo fanatici di ciò che è bello, cambiamo le regole grammaticali se un suono non soddisfa le nostre orecchie, siamo un popolo di esteti, viviamo di cose piacevoli, dal buon cibo, alla buona musica, alla poesia, all’arte, ai prodotti della moda, alle auto: il piacere per l’uomo e non l’uomo per il piacere. Abbiamo esportato la nostra bellezza nel mondo e non abbiamo avuto concorrenti, mentre l’abbiamo fatto. Finché dovremo competere in ciò che non è bello e non è reale, come la finanza, come lo sviluppo economico tout-court indipendentemente dalla qualità di ciò che si produce, come i disvalori della cultura relativista e giacobina di oggi, non saremo altro che una timida ombra di ciò che siamo stati.
Buon Natale, Italia. Ricorda che il Natale l’hai celebrato quasi duemila volte, non solo centocinquanta. Ricorda che questa è la festa del Dio fatto bambino e dell’uomo reso divino, non dello spread, dei titoli di borsa, della finanza e della Carboneria. Ricorda, infine, che il Natale non è la festa delle nazioni, delle bandiere, dell’orgoglio patriottico, ma della famiglia, della fede e, voglio dirlo, anche se questo aggettivo è inviso a molti, della tradizione!

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