Hilaire Belloc e le sfide del cristianesimo contemporaneo

Un grande intellettuale

Hilaire Belloc (1870-1953) è stato un grande intellettuale, romanziere, umorista e poeta britannico. Francese d’origine, studiò a Oxford, prestò servizio per qualche tempo nell’artiglieria francese e successivamente, nel 1902, prese la cittadinanza britannica. Fu membro del Parlamento dal 1906 al 1910, quando, a causa della crescente insoddisfazione per la politica britannica, si ritirò a vita privata.

Belloc fu famoso, insieme ad altri autori, in particolare Gilbert Keith Chesterton (Chesterton e Belloc furono chiamati “Chestertonbelloc” per la loro vicinanza umana e intellettuale e per l’intensa collaborazione che ebbero), per i dibattiti che intrattennero per molti anni con vari intellettuali inglesi su questioni legate alla fede e alla cultura cristiana. Tra i suoi saggi più celebri si possono annoverare Lo Stato servile (1912), L’Europa e la fede (1920), Elisabetta regina delle circostanze. Un mito creato dalla Riforma protestante (1922), The Great Heresies (Le grandi eresie, 1936).

Caratteristica del pensiero di Belloc è la visione della civiltà occidentale, e del concetto stesso di Europa moderna, come fondata sull’armoniosa combinazione dei principi spirituali cristiani e del sistema di pensiero greco-romano. Qualunque sia la crisi, la sfida o il problema che il mondo occidentale si trovi ad affrontare, le cause e le soluzioni devono essere ricercate e trovate proprio all’interno di tale combinazione di principi spirituali cristiani e sistema di pensiero greco-romano.

La sfida del pensiero: le grandi eresie

Un’opera molto importante di Hilaire Belloc è il libro The Great Heresies (Le grandi eresie) del 1936, in cui l’autore individua cinque grandi eresie del cristianesimo che, nella sua analisi, risultano aver prodotto alcuni dei peggiori mali della storia dell’umanità. Abbiamo ricordato, infatti, che, nella visione di Belloc, la civiltà occidentale, che si è diffusa in tutto il mondo, affonda le sue radici nel cristianesimo. Non pare eccessivo, pertanto, affermare che l’errata interpretazione della verità cristiana, o di alcune sue parti, riguarda l’intera umanità.

Ma cos’è un’eresia? Il termine deriva dal latino haerĕsis, a sua volta derivato dal greco αἵρεσις (háiresis), che significa “scelta”, “opzione”. Il verbo principale, in greco, è αἱρέω (hairéo), “scegliere”, “separare”, “raccogliere” o anche “togliere”. Eretico, quindi, non è chi sposa una verità totalmente diversa da quella proclamata dalla dottrina ufficiale contro cui si scaglia, ma chi mette in discussione solo una parte di quella verità. Infatti, Hilaire Belloc definisce l’eresia come un fenomeno che ha la caratteristica di distruggere non l’intera struttura di una verità, bensì solo una parte di essa e, estrapolandone una componente, lascia un vuoto in quella struttura o sostituisce la componente estrapolata con un altro assioma.

Prima eresia: l’arianesimo

La prima delle eresie che Belloc analizza nel libro che stiamo analizzando è l’arianesimo, che consiste nel razionalizzare e semplificare il mistero fondamentale del cristianesimo: l’incarnazione e la divinità di Cristo (Gesù, vero uomo e vero Dio), mettendo così in discussione l’autorità su cui si fonda la Chiesa stessa. Si tratta essenzialmente di quello che egli definisce come un “attacco al mistero”, cioè di un’aggressione al “mistero dei misteri”, poiché l’eresia ariana tenta di abbassare al livello dell’intelletto umano ciò che, invece, va ben oltre la limitata comprensione dell’uomo.

Il Concilio di Nicea (325), proprio per la necessità di rispondere alle istanze dell’arianesimo, elaborò un “simbolo”, cioè una definizione dogmatica relativa alla fede in Dio, in cui compare il termine ὁμοούσιος (homooùsios = consustanziale con il Padre, letteralmente “della stessa sostanza”), attribuito a Cristo, che costituisce la base dogmatica del cristianesimo ufficiale. Il “Simbolo niceno” si contrappone quindi nettamente al pensiero di Ario, che invece predicava la creazione del Figlio da parte del Padre e quindi negava la divinità di Cristo e la trasmissione degli attributi divini del Padre al Figlio e al corpo mistico del Figlio, cioè la Chiesa e i suoi membri.

Seconda eresia: il manicheismo

La seconda eresia individuata da Belloc è il manicheismo, essenzialmente un attacco alla materia e a tutto ciò che riguarda il corpo (gli Albigesi sono un esempio di questa eresia): la carne è vista come qualcosa di impuro e i suoi desideri devono essere sempre combattuti e repressi.

Terza eresia: la Riforma protestante

La Riforma protestante, cioè la terza delle cinque grandi eresie individuate da Belloc, è un attacco all’unità e all’autorità della Chiesa, più che alla dottrina in sé, il che produce una serie di ulteriori eresie.

L’effetto della Riforma protestante in Europa è la distruzione dell’unità del continente. Fino ad allora, infatti, era rimasto valido il concetto di Res Publica Christiana, come nel Medioevo si definiva l’Europa, secondo l’espressione coniata da Federico II. Tale concetto era il culmine della compenetrazione della civiltà greco-romana e della religione cristiana, già menzionato in precedenza, che poteva contare su diversi fattori unificanti: l’Impero come istituzione politica; il diritto romano come diritto comune (jus); il latino come lingua della cultura e della comunicazione sovranazionale; il cristianesimo (cattolico romano) come religione.

Fino a un certo punto, in effetti, i popoli europei erano rimasti uniti nella mentalità generale e, soprattutto, nella fede religiosa. Con la Riforma, tuttavia, ogni riferimento all’universalità e alla cattolicità fu rimpiazzato dal criterio della nazione e dell’etnia (cuius regio, eius religio), con conseguenze evidenti e catastrofiche che andarono poi a culminare nel nazional-socialismo.

Quarta eresia: il modernismo

La quarta eresia, secondo Belloc, è la più complessa. La si potrebbe chiamare modernismo, ma il grande intellettuale ritiene che il termine alógos possa essere un’altra possibile definizione, poiché chiarisce bene quello che è il cuore di questa eresia: non esiste una verità assoluta, a meno che non sia empiricamente dimostrabile e misurabile.

Il punto di partenza, come nell’arianesimo, è sempre la negazione della divinità di Cristo, proprio per l’incapacità di comprenderlo o definirlo empiricamente, sebbene il modernismo vada ben oltre tale negazione. Arriva, infatti, ad accettare come reali, o positivi, solamente quei concetti che possono essere scientificamente provati. Da ciò deriva un altro nome attribuito a questa eresia: positivismo.

Tutto ciò che non può essere dimostrato, quindi, semplicemente non esiste. Ed è un attacco non soltanto al cristianesimo, ma anche alle basi stesse della civiltà occidentale, che ne è una derivazione, un attacco a quelle che Belloc chiama le radici “trinitarie” dell’Occidente, ove trinitario non si riferisce alla Santissima Trinità, bensì quel legame inscindibile che già i greci avevano riscontrato tra verità, bellezza e bontà. Poiché questo legame è inscindibile, non è pertanto possibile attaccare una delle componenti della trinità formata da verità, bellezza e bontà senza attaccare le altre due (se si mette in discussione, ad esempio, il concetto di verità, non si può non perturbare anche quelli di bellezza e di bontà).

Effetti delle prime quattro eresie

Queste, in estrema sintesi, le prime quattro eresie analizzate da Belloc nella sua opera The Great Heresies. Riferendosi ad esse, l’autore scrive che queste quattro eresie hanno tutte alcuni fattori in comune: provengono dalla Chiesa cattolica; i loro eresiarchi erano cattolici battezzati; si sono pressoché estinte, dal punto di vista dottrinale, nel giro di pochi secoli (le Chiese protestanti, nate dalla Riforma, pur esistendo ancora, conoscono tuttavia una crisi senza precedenti, tranne la Pentecostale), sebbene i loro effetti persistano nel tempo, in modo sottile, insinuandosi nel sistema di pensiero di una civiltà, nella mentalità, nelle politiche sociali ed economiche, nella visione stessa dell’uomo e delle sue relazioni sociali.

Alcuni effetti dell’arianesimo e del manicheismo, ad esempio, influenzano ancora certa teologia cattolica, così come altri della Riforma, come potrebbero essere l’attacco costante all’autorità centrale e all’universalità della Chiesa. L’estrema conseguenza delle idee di Calvino, inoltre, ha condotto alla negazione del libero arbitrio e della responsabilità delle azioni umane davanti a Dio e ha reso l’uomo schiavo di due entità principali: lo Stato in primo luogo e le corporazioni private sovranazionali in secondo luogo.

Quinta eresia: l’Islam

Belloc, sulla falsariga di autori cristiani quali Giovanni Damasceno, sostiene che l’islam è un’eresia cristiana, e per di più la più particolare e temibile tra esse, ricalcando da un lato il docetismo e l’arianesimo, nel voler semplificare e razionalizzare al massimo, secondo criteri umani, l’insondabile mistero dell’Incarnazione (il che produrrebbe una degradazione sempre maggiore della natura umana, non è più legata in alcun modo al divino), e dall’altro il calvinismo, nell’attribuire un carattere predeterminato da Dio alle azioni umane.

Se, tuttavia, la “rivelazione” predicata da Maometto nacque come eresia cristiana, la sua inspiegabile vitalità e durevolezza le conferirono ben presto l’aspetto di una nuova religione, una sorta di “post-eresia”.

In realtà, l’Islam si distingue dalle altre eresie perché non è nato nel mondo cristiano e il suo eresiarca non era un cristiano battezzato, bensì un pagano che improvvisamente fece proprie le idee monoteiste (un misto di dottrina eterodossa ebraica e cristiana con alcuni elementi pagani già presenti in Arabia) e cominciò a diffonderle. Dal pensiero giudaico-cristiano, l’Islam estrapolò infatti gli attributi di Dio ed altri concetti: la natura personale; la suprema bontà; l’atemporalità; la provvidenza; il potere creativo come origine di tutte le cose; l’esistenza degli spiriti buoni e degli angeli, così come dei demoni ribelli a Dio con a capo Satana; l’immortalità dell’anima e la resurrezione della carne; la vita eterna; la punizione e il castigo dopo la morte.

La sfida del capitalismo e del socialismo

Sempre con altri autori del tempo, come lo stesso G. K. Chesterton, Belloc fu un ardente sostenitore del Distributismo, un sistema socio-economico sviluppato al fine di applicare i principi della dottrina sociale della Chiesa cattolica radicata nell’esperienza benedettina (ora et labora), così come espressa prima da Papa Leone XIII nell’enciclica Rerum Novarum e poi da Pio XI nella Quadragesimo Anno.

Secondo la dottrina del Distributismo, la proprietà dei mezzi di produzione dovrebbe essere distribuita il più ampiamente possibile tra la popolazione in generale, piuttosto che essere concentrata sotto il controllo dello Stato (come accade nel socialismo) o di pochi individui ricchi (nel capitalismo).

Belloc sostiene che entrambi i fenomeni, socialismo e capitalismo, sono un prodotto delle moderne società occidentali e tuttavia, nonostante i grandi proclami in favore della liberazione del genere umano dalla schiavitù, essi hanno in sostanza imprigionato l’umanità in una nuova forma di schiavitù. Sebbene, infatti, questi due modelli siano fondamentalmente antitetici, essi hanno tuttavia un elemento che li rende simili: l’espropriazione della libertà del cittadino, che entrambi operano in egual misura: il socialismo con la sussistenza e il welfare garantiti (schiavitù allo Stato); il capitalismo con il consumo di beni che vengono proposti come necessari e che spesso non lo sono, ma che, di fatto, costringono l’uomo a desiderarli sempre di più, fino a diventarne schiavo (schiavitù alle corporazioni private sovranazionali).

Un esempio pratico della dottrina distributista è la proposta che la maggioranza dei cittadini sia proprietaria della casa in cui vive, della terra e degli strumenti necessari per lavorarla, e questo a differenza del socialismo (ove non si consente ai cittadini di possedere proprietà e soprattutto mezzi di produzione) e del capitalismo (in cui pochi possiedono la maggior parte dei beni disponibili). Per la precisione, il concetto di distribuzione sempre più ampia della proprietà non si estende a tutti i beni, bensì solo ai mezzi di produzione e al lavoro che producono ricchezza e le cose necessarie all’uomo per sopravvivere.

Il distributismo, spesso descritto come una terza via alternativa al socialismo e al capitalismo, può riassumersi nel postulato di Chesterton: “Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti”.

Tutti questi principi discussi da Belloc, sebbene elaborati tra il XIX e il XX secolo, rappresentano molto bene alcune delle maggiori sfide del cristianesimo contemporaneo, essendo alla base di diverse derive economiche e del pensiero della società occidentale nel mondo di oggi.

Già pubblicato per EWTN España

https://ewtn.es/hilaire-belloc-y-los-retos-del-cristianismo-contemporaneo/

Per approfondimenti sull’islam:

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