Diritti umani: prospettiva cristiana e islamica

Già pubblicato in spagnolo con il titolo “Los Derechos Humanos: vistos desde el Cristianismo y desde el Islam

L’origine cristiana del concetto di libertà in Occidente

Il grande filosofo tedesco Georg Hegel, nella sua opera Introduzione alla storia della filosofia, affermò:

Né i greci, né i romani, né gli asiatici sapevano che l’uomo in quanto uomo è nato libero: nulla sapevano di questo concetto. Essi sapevano che un ateniese, un cittadino romano, un ingenuus, è libero: che si dà libertà e non libertà. Non sapevano tuttavia che l’uomo è libero come uomo – cioè l’uomo universale, l’uomo come lo prende il pensiero e come esso si apprende nel pensiero. È il cristianesimo che ha portato la dottrina che davanti a Dio tutti gli uomini sono liberi. Il progresso enorme è che queste determinazioni rendono la libertà indipendente dalle condizioni di nascita, stato, educazione, ceto, luogo, che sono ben diverse da ciò che forma il concetto di uomo per essere un soggetto libero.

Il fondamento morale del diritto

È una lunga citazione, che ci permette, tuttavia, di conoscere, secondo il pensiero di questo grande filosofo, quale sia l’origine dell’idea di libertà che abbiamo in Occidente, per cui il filosofo e politico italiano Marcello Pera afferma, a sua volta:

I diritti umani sono (dovuti a, basati su) una scelta morale. Mai come in questo caso, è la morale che fonda il diritto. Se si scrive in una legge giuridica che gli uomini sono tutti uguali, è perché si crede che esista una legge morale che stabilisce che gli uomini devono essere tutti uguali. È la legge morale che dà forza ai nostri diritti fondamentali. È la legge morale che li rende intangibili. È la legge morale che li rende universali. [E la] legge morale da cui dipende la cultura dei diritti umani è la legge morale cristiana.

La stessa Chiesa cattolica, nel suo Catechismo , dichiara:

Dio ha creato l’uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata dell’iniziativa e della padronanza dei suoi atti. [—] La libertà è il potere, radicato nella ragione e nella volontà, di agire o di non agire, di fare questo o quello, di porre così da se stessi azioni deliberate. Grazie al libero arbitrio ciascuno dispone di sé. [—] La libertà si esercita nei rapporti tra gli esseri umani. Ogni persona umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come un essere libero e responsabile. Tutti hanno verso ciascuno il dovere di questo rispetto. Il diritto all’esercizio della libertà è un’esigenza inseparabile dalla dignità della persona umana, particolarmente in campo morale e religioso. Tale diritto deve essere civilmente riconosciuto e tutelato nei limiti del bene comune e dell’ordine pubblico.

La “tradizione” nel cristianesimo e nell’islam

Come è evoluta l’idea della libertà dell’uomo e dei suoi diritti in quanto essere umano nel pensiero cristiano e in quello islamico? In modo diverso, trattandosi di due sistemi di pensiero differenti, soprattutto per quanto riguarda la rispettiva identificazione della divinità e dei suoi attributi e, di conseguenza, l’interpretazione dei rispettivi testi sacri, o tradizione. La diversa visione della libertà umana nel cristianesimo e nell’islam può, infatti, essere attribuita tanto a una questione religiosa e culturale quanto ai limiti imposti dall’applicazione, dall’attuazione di quanto trasmesso dai relativi testi sacri, la Bibbia da un lato e il Corano dall’altro

Nel cristianesimo, e in particolare nel cattolicesimo, citiamo la Costituzione Dogmatica Dei Verbum, in cui leggiamo che la Chiesa

ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo; hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte. [Tuttavia,] poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.

Ciò significa che si accetta che il corpus dei testi sacri abbia sì Dio come autore, ma che in ultima analisi coloro che hanno scritto i testi sono uomini ispirati da Dio. Questi uomini, come ogni essere umano, avevano limiti di comprensione, di linguaggio, di tempo, di cultura e di spazio. Pertanto, la Scrittura non deve essere intesa come una tavoletta di pietra con Dio che traccia le sue parole con il dito, né dettata da Dio stesso, ma deve essere interpretata “criticamente”, cioè attraverso un’ermeneutica basata su molteplici discipline: il metodo storico-critico, l’analisi linguistica, testuale, comparativa, ecc.

In pratica, fede e ragione, religione e scienza, rivelazione e tradizione vanno di pari passo e permettono ai fedeli di recepire correttamente quelli che sono gli insegnamenti divini, attraverso il sigillo costituito dalla tradizione apostolica e dall’insegnamento della Chiesa. La celebre frase “rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, pronunciata da Gesù e contenuta nei Vangeli, costituisce, se vogliamo, la base della cosiddetta separazione dei poteri nel cristianesimo.

La visione islamica

Nell’Islam, invece, tale separazione non esiste. Vi è, infatti, un’unione inscindibile tra potere divino e autorità temporale. Infatti, il lavoro costruttivo di derivazione della “legge”, del “diritto” (in arabo: shari’a) sia religioso che secolare, avviene a partire da quattro fonti (il Corano, la sunna, la qiyās e l’iǧmā‛) ed è chiamato iǧtihād (da ǧ-h-d, la stessa radice del termine ǧihād). Lo sforzo in questione, una vera e propria elaborazione del diritto positivo islamico, basato comunque su una parola “rivelata”, si protrasse fino al X secolo circa, quando si formarono le scuole giuridiche (maḍhab), epoca successivamente alla quale “le porte dell’ iǧtihād” si considerano ufficialmente chiuse. Da allora bisogna accontentarsi di accettare ciò che è stato già elaborato, senza introdurre ulteriori innovazioni (bid‛a).

Corano

Ad esempio, i più rigidi in questo senso sono i waḥḥabiti (fondati da Muḥammad ibn ‛Abd-el-Waḥḥab: la dottrina waḥḥabita è quella ufficiale del regno dei Sa‛ūd, monarchi assoluti dell’Arabia Saudita) e i salafiti (fondatori ed esponenti principali: Ǧamal al-Dīn al-Afġāni e Muḥammad ‛Abduh, sec. XIX; i Fratelli musulmani fanno parte di questa corrente). Secondo la visione salafita, all’interno della dottrina islamica sarebbero state introdotte eccessive innovazioni; occorre dunque ritornare alle origini, all’età dell’oro, quella dei padri (salaf), in particolare quella della vita di Maometto a Medina e dei suoi primi successori, o califfi.

È vero, quindi, che nell’Islam vi sono diverse scuole giuridiche, sette e correnti, ma è altrettanto vero che in nessun Paese islamico si possono accettare molte delle cose che sono considerate normali in un Paese occidentale.

La visione dell’uomo: base del discorso sui diritti umani

Come abbiamo visto, il concetto di “diritto umano” si basa sulla cosiddetta legge naturale, sebbene questa stessa legge sia poi riconosciuta solamente attraverso un’opzione morale, o rivelazione, che è quella del cristianesimo. Per inciso, va aggiunto quanto segue (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica):

La libertà è nell’uomo una forza di crescita e di maturazione nella verità e nella bontà. La libertà raggiunge la sua perfezione quando è ordinata a Dio, nostra beatitudine. [—] Quanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi. Non c’è vera libertà se non al servizio del bene e della giustizia.

Questo orientamento al bene come base della libertà, secondo Hegel, presuppone che

[per il cristianesimo] l’individuo come tale ha valore infinito ed essendo oggetto e scopo dell’amore di Dio è destinato ad avere relazione assoluta con Dio come spirito e far si che questo spirito dimori in lui, cioè l’uomo è in sé destinato alla somma libertà.

Ciò significa che ogni persona deve il suo essere a un atto di libertà da parte di Dio, e quindi la libertà umana è situata all’interno di una relazione: la relazione tra Dio e la persona umana. La libertà umana, dunque, ha un’origine, una causa e anche un obiettivo, un senso, una “missione”, come direbbe il cardinale italiano Carlo Caffarra (1938-2017): essere come Dio all’interno di una relazione con Lui, una relazione che si approfondisce nel corso dell’esistenza di ogni essere umano e che fa sì che il senso della vita non debba essere inventato, bensì scoperto, e scoperto passo dopo passo.

Nell’islam, invece, la visione dell’uomo e della sua vita è alquanto diversa. Il filosofo e pensatore russo Vladimir Solov’ëv (1853-1900), sottolineando, nell’islam:

l’assenza dell’ideale della perfezione umana o della perfetta unione dell’uomo con Dio: l’ideale dell’autentica divinoumanità. [L’islam] richiede agli uomini soltanto una generale sottomissione a Dio e l’osservanza nella propria vita naturale di quei limiti esteriori che sono stati stabiliti dai comandamenti divini. La religione resta soltanto il fondamento incrollabile e la cornice sempre identica dell’esistenza umana e non diventa mai invece il suo contenuto interiore, il suo senso e il suo fine. Se non v’è un ideale perfetto che l’uomo e l’umanità devono realizzare nella loro vita con le proprie forze, questo significa che per queste forze non v’è alcun compito preciso, e se non c’è un compito o un fine da raggiungere, è evidente che non può esservi un movimento in avanti.

Evoluzione del pensiero sull’uomo e sui suoi diritti inalienabili

Da un lato, la visione cristiana ha dato origine, per assurdo (ma non così tanto, se ci pensiamo bene) al nostro Stato liberale, che è uno Stato laico, e quindi alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), in cui il fondamento del diritto dell’uomo è l’uomo stesso (diritto naturale).

Eleanor Roosevelt presenta la Dichiarazione universale dei diritti umani

Dall’altro, la visione islamica ha condotto all’emanazione di diverse successive Dichiarazioni dei Diritti Umani, in contrasto con la Dichiarazione ONU del 1948 (che fu definita dall’allora rappresentante iraniano Sa’id Rajaie Khorasani come “un’interpretazione laica della tradizione giudaico-cristiana”), ovvero: la Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani (1981), la Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani del Cairo (1990) e la Carta Araba dei Diritti Umani (1984). Tutte queste si caratterizzano proprio per il fatto di essere islamiche, cioè basate sulla legge musulmana: è Dio l’unico legittimato a regolare i rapporti tra gli individui (legge divina). Va da sé, dunque, il rigetto della Dichiarazione dell’ONU, poiché quest’ultima non potrebbe essere applicata ai musulmani senza violare la legge islamica. Nella Dichiarazione emanata dalle Nazioni Unite, infatti, i diritti umani sono inalienabili e applicabili a qualsiasi essere umano; nelle Dichiarazione islamiche, invece, essi sono di origine divina, sanciti dal Corano.

In pratica, la legge religiosa islamica, i cui fondamenti sono il Corano e la sunna (ḥadīṯ), prevale sulla legge secolare di qualsiasi Stato, e nessun musulmano può essere costretto o indotto a violare la shari’a. Pertanto, egli può esimersi dal rispettare la legge dello Stato se questa contraddice la legge islamica (e questo è anche un diritto sancito dalle Dichiarazioni islamiche). Alcuni casi emblematici, nelle Dichiarazioni islamiche, sono: la mancanza di uguaglianza tra uomini e donne (nei codici familiari islamici, applicati in tutti i Paesi musulmani, gli uomini sono superiori alle donne in materia di eredità, custodia dei figli, ripudio, ecc. ); la negazione del diritto all’apostasia (non ci si può convertire dall’islam a un’altra religione, pena la morte); la mancanza di libertà di religione (mentre la Carta delle Nazioni Unite prevede che tutti abbiano il diritto di avere e manifestare la propria fede, anche pubblicamente, nell’islam tale diritto è riservato ai musulmani); la mancanza di libertà di pensiero e di espressione che, pur essendo parzialmente garantita, è comunque vietabile o controllabile se costituisce un pericolo per la sicurezza della comunità e dello Stato (controllo dei media e dei social network).


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