Rimango sempre colpito nel pensare alla millenaria attesa messianica del popolo ebraico, alle preghiere instancabili e a quel senso di appartenenza, di comunità che lo caratterizza. Sia nei brani dell’Antico Testamento che in quelli del Nuovo, nelle preghiere come nelle benedizioni, è facilissimo riscontrare un anelito continuo, quasi una fissazione, per la liberazione dalla schiavitù e dall’oppressione, per l’amore verso Gerusalemme e la Terra Promessa, per il ritorno a Dio e alla patria perduta. In tutto questo, vedo sempre una costante: i sogni, i desideri e le preghiere sono quasi sempre collettivi, per il popolo, per “noi” .
Rispetto agli ebrei, noi cristiani, che celebriamo in questi giorni la Settimana santa e commemoriamo la Pasqua di Gesù Cristo, Dio incarnato, divenuto il cuore della nostra fede al posto della Legge e di Gerusalemme, abbiamo forse perso un po’ l’abitudine di pregare per il nostro popolo, la Chiesa, di desiderare qualcosa che sia “nostro” e non solo “mio”. Eppure, quanta forza e quanta vita acquista un sogno se questo coinvolge anche le persone che amiamo, non solo noi.
Ultimamente, si è risvegliata in me una strana voglia di sognare che credevo fosse tipica dell’adolescenza. La differenza, rispetto ad allora, è che i miei desideri, a volte impossibili, altre ancora delle vere e proprie utopie che avrebbero bisogno di un miracolo per realizzarsi, mi sembrano molto più concreti, belli, reali, utili, puri perché alimentati da qualcosa che li rende potenzialmente veri: essi non sono solo i miei. E’ strano a dirsi, ma il sostegno, la preghiera, la partecipazione delle persone che mi sono vicine può trasformare un sogno in realtà ed il modo in cui il sogno nasce, si definisce, si sviluppa e, magari, si realizza è ancora più bello di un miracolo, perché condiviso, perché arricchito dal continuo apporto di idee, contributi, opinioni, spunti creativi, nuovi punti di vista che aiutano a conoscere meglio me stesso, ciò che voglio, ciò di cui ho bisogno e quello che posso fare.
Dalla mia meta, dalla mia terra promessa, dal mio sogno mi separa il Mar Rosso e mi trovo ancora nel bel mezzo del deserto, ma non sono solo, c’è il mio popolo, i miei amici: siamo tutti uniti nel camminare nella stessa direzione, verso il medesimo obiettivo ed è, forse, più bello per noi costruire insieme una diga che contenga le acque e ci permetta di attraversare il mare piuttosto che aspettare un fuoco dal cielo che venga ad aprirle miracolosamente e ci consenta il passaggio. Intendiamoci, l’aiuto di Dio è necessario, richiesto, gradito, di per sé miracoloso, ma essere suoi collaboratori, anziché marionette che attendono di essere collocate in un punto o in un altro, è decisamente più affascinante.
Per me, la Pasqua di quest’anno è segno non solo del passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla vita eterna, dal dolore alla risurrezione. Essa mi ricorda che, se Qualcuno è morto da solo per me, è perché io avessi la vita e la vivessi con e per il mio prossimo, i miei amici, per cui sono chiamato anch’io a dare la vita e che sono chiamati, a loro volta, a dare la vita per me. Che cosa significa questo? Morire, essere crocifissi? Non necessariamente. Amare, dare la vita in questo caso significa, altresì, rendere l’esistenza di una persona degna di essere vissuta, alimentare i suoi sogni, quelli buoni, veri e utili, partecipare alle sue gioie (non soltanto alle sofferenze), darle speranza, godere del dono di noi stessi a quella persona e di quella persona a noi stessi, essere felici insieme facendo qualcosa di bello.
Questa Pasqua rappresenta, dal mio punto di vista, la (ri)scoperta di quanto io e i miei amici, familiari, fratelli e sorelle siamo un corpo e un’anima sola: se non posso contare sulle mie gambe per attraversare il deserto, so che quel mio amico, più forte e atletico di me, mi darà una mano; se mi sento solo, posso contare su un’altra amica, dolce e materna, che sa sempre come prendermi; se, nell’attraversare il Mar Rosso, avrò paura, sono certo che sarò circondato da persone che mi incoraggeranno ad andare avanti e saranno pronte persino a prendermi in braccio, quando non ce la farò; se sarò triste, ci sarà chi saprà farmi ridere; se sarò malato, avrò chi mi curerà; se sarò nudo, qualcuno mi vestirà e, se avrò fame, mi daranno da mangiare. Mi sono stati donati mille occhi, di tutti i colori, e senza bisogno di lenti a contatto; braccia femminili, maschili, forti e virili, abili e sensibili; ho tante voci che raggiungono tutte le tonalità; infinite possibilità e capacità, nell’arte, nella musica, nella vita, tante quante sono le persone che mi sono accanto. Io sono loro e loro sono me.
Del libro della mia vita, posso dire di essere lo scrittore, ma i volti dei miei cari sono le parole su ogni pagina, i paesaggi, le sensazioni, le emozioni. Per questa ragione, posso affermare che la parola che accompagnerà le festività pasquali sarà per me “comunione”: un solo corpo, un solo spirito, una vita da condividere.
Buona Pasqua
L’ha ribloggato su Lacapannadelloziobloge ha commentato:
Buona Pasqua
Hai finalmente raggiunto la gioia della ‘condivisione’. È bello far parte di una comunità, specialmente per te che sei lontano dalla famiglia. Buona Pasqua anche a te.