(preludio al post “Uomo vivo che cammina”, pubblicato il 16 gennaio 2012)
Credo capitino a tutti dei giorni in cui si vorrebbe fuggire via dal caos urbano. Alcuni sognano di rifugiarsi su un’assolata spiaggia caraibica; altri sul cucuzzolo di una montagna innevata; altri ancora nella cella di un monastero arroccato su uno sperone di roccia. Devo confessare che mi allettano tutte le prospettive elencate.
Purtroppo, ho avuto modo, per l’ennesima volta questa mattina, di constatare che non sono affatto la persona calma e riflessiva che ero convinto, o mostro, di essere. Ebbene sì, lo riconosco: ho un carattere difficile, a volte scontroso, irritabile, geloso, possessivo, passionale, sanguigno. Non sono uno a cui piace porgere l’altra guancia e, se e quando lo faccio, ciò mi costa uno sforzo immane (che senza dubbio non avrei la capacità di compiere senza l’aiuto di Qualcuno). Sicché, sovente mi fermo a pensare che forse sarebbe opportuno, per uno come me, non continuare a vivere la quotidianità, con le sue snervanti difficoltà, ma ritirarmi e divenire un anacoreta (parola che deriva appunto dal greco ἀναχωρεῖν – anachōrêin, ritirarsi).
Gli anacoreti, o eremiti, sono, infatti, persone che si ritirano dal mondo per condurre una vita ascetica, austera ed isolata. Di solito, essi scelgono un eremo in cui trascorrere un’esistenza solitaria dedicata esclusivamente all’unione con Dio. E’ interessante notare come la parola italiana eremo derivi da ἔρημος (erēmos), che traduce letteralmente l’ebraico מדבר (midbar), cioè deserto. A sua volta, il termine ebraico מדבר (midbar) è composto dalla radice דבר (davar), che significa “parola”, cui si aggiunge la particella privativa מ (mi). In ebraico, quindi, il termine deserto indica l’assenza di parola. Per estensione, possiamo affermare che l’assenza di parola implichi anche quella di rapporti umani, di civiltà, di incombenze, di persone da sopportare ogni giorno!
Una vera e propria tentazione per i lupi solitari e i tipi chiusi, per gli stressati e gli indignati, per gli intolleranti e i brontoloni come me che faticano ogni giorno a sopportare la massa informe, maleodorante e multirazziale che mi schiaccia e mi pesta i piedi ogni giorno sull’autobus n° 64 o 40! Sì, è così che io sono: per uno strano meccanismo psicologico ho sempre la tendenza a non includermi nella massa, a immaginarmi come isola nell’universo, come individuo in mezzo a un gregge belante, come essere pensante tra milioni di animali bipedi.
E’ inevitabile che il mio ego pantagruelico cominci a divagare ed a estendersi sino all’iperuranio ed io arrivi a immaginarmi come un incompreso giustiziere armato di fulmini e saette, destinato a fare piazza pulita di cotanti bruti che attentano alla mia nobile e delicata natura così ignominiosamente compressa e spupazzata in una scatola di metallo a quattro ruote che viaggia tra la Stazione Termini e San Pietro! Sennonché, l’ira, l’imperfezione e il peccato giungono implacabili ad annunciarmi la fatale sentenza: io sono come questi bruti, se non peggiore (ci voleva tanto ad arrivarci?!)! Non sono superiore, meno stressato e meno stanco di loro, più gentile ed educato, migliore! Nulla di tutto ciò!
Che fare? Fuggire nel deserto, rifugiarmi in un eremo? Forse potrei, però sarei costretto, in tal caso, a provvedere da solo alla mia sussistenza (magari nutrendomi di cavallette e miele selvatico!) o a vivere di elemosina e provvidenza, rinunciando alle comodità e agli agi della mia esistenza piccolo-borghese, dicendo addio alla mia amata macchina e, soprattutto, alla mia famiglia e ai miei amici… In più, horribile dictu et auditu, avrei come unico compagno, a parte Dio (il quale, tuttavia, non è, purtroppo, sempre e immediatamente percepibile ai sensi), la persona che meno sopporto al mondo: me stesso! No, no! Assolutamente non si può fare…
Esclusa questa possibilità, che cosa mi rimane, se non posso giustiziare nessuno, fulminandolo con le saette d’ordinanza, e non possiedo il coraggio, lo zelo e l’abnegazione necessari per diventare un anacoreta, giacché – ormai l’ho capito – l’eremita non è colui che fugge dal mondo per disprezzo dei propri simili, ma colui che, pur amando il mondo, se ne ritira per poterlo servire attraverso un’intercessione costante e un ‘offerta totale della propria vita a Dio?
Forse le persone comuni come me possono trovare, se deserto è assenza di parola, un piccolo spazio quotidiano in cui far tacere se stessi e i propri pensieri, un eremo da cui uscire ritemprati e pronti a rituffarsi nella giungla cittadina. Ritengo che, per un cristiano, tale possibilità sia reale e tangibile e, per quanto mi riguarda, funzioni molto bene, anche se gradualmente. Mi permetto di citare me stesso, rinviando a un mio precedente post, dal titolo “Uomo vivo che cammina (Living man walking)”, per suggerire un bel modo per costruirsi il proprio “deserto fai da te”.
Vi è, poi, un’ultima considerazione che mi è stata ispirata da un bell’articolo scritto da Francesco Agnoli, giornalista e scrittore che stimo, su un recente fatto di cronaca. Il cristianesimo si distingue da altre religioni perché Cristo, Dio stesso, si è fatto uomo, assumendo la natura delle sue creature. Nel cristianesimo non vi sono solo ascesi e deserto, anzi! I quaranta giorni di Gesù nel deserto non sono una fuga dalla realtà, bensì la preparazione per il servizio, per la missione, per il dare la vita a favore degli uomini. L’assenza di parola è finalizzata, in Lui, al parlare secondo la volontà del Padre. Ciò che stupisce, giacché in questi giorni si è discusso tanto a proposito della trovata di un “artista” che ha deciso di imbrattare il volto di Cristo con liquami defecatorî, è non tanto la scarsa sensibilità e la totale mancanza di rispetto per i simboli religiosi, bensì l’inesistente considerazione della dignità umana, in quanto il volto di Cristo è il volto dell’uomo! Personalmente, non mi ritengo scandalizzato, ormai sono abituato a ben altro. Più che altro, posso ritenere tale fenomeno “artistico” come la diretta conseguenza di alcuni miei soprelencati comportamenti: imbrattare di merda il volto di Cristo è una mia pratica abituale, quando giudico, insulto e vedo degli esseri umani (compreso me stesso) come banale merce, come massa informe senza sentimenti, come semplici puzzolenti e fastidiosi vicini da tollerare in autobus, al lavoro, in coda all’ufficio postale o al supermercato, come ostacoli sulla strada per la mia realizzazione personale e professionale.
Per carità, non mi aspetto di cambiare dall’oggi al domani! Forse, tuttavia, posso trovare un mio piccolo deserto quotidiano in cui, nell’assenza di parola, far tacere me stesso e simili pensieri, senza scandalizzarmene, visto che a volte essi costituiscono delle conseguenze del tutto naturali al vivere insieme agli altri; un deserto, però, in cui io non mi rifugi più per estirpare gli uomini come fossero erbacce, facendo finta che essi non esistano più, ma per far crescere, per opera di Colui che è capace di produrre frutti nella steppa, alberi alla cui ombra possa rifugiarsi anche il mio prossimo, magari anche quello che mi ha pestato i piedi sull’autobus e cui io non ho certamente posto l’altro piede!
Uomo vivo che cammina (Living man walking)
https://gerardoferrara.wordpress.com/2012/01/16/uomo-vivo-che-cammina-living-man-walking/
Odio gnostico verso il Creatore
L’ha ribloggato su Lacapannadellozioblog.