Occhi aperti

Negli ultimi giorni mi sono trovato spesso a chiedermi – ed a sentirmi chiedere, in base a qualcosa che avevo scritto – che cosa voglia dire essere un artista.

Ebbene, io credo che essere un artista voglia dire saper sintetizzare in qualche modo la bellezza che si è capaci di cogliere, di vedere. In qualche modo, tutte le forme d’arte sono, a mio parere, “visive”. Non so se questo capiti anche ad altri musicisti, ma io, quando ascolto o eseguo un brano, ho la sensazione di riuscire a vedere delle note che sfilano innanzi ai miei occhi; ovviamente, non delle note fisicamente – e, soprattutto, universalmente – percepibili, ma delle vere e proprie entità che danzano di fronte a me e che io cerco di afferrare, tenendole tra le mani, facendole mie, riproducendole sulla tastiera di un pianoforte. Allo stesso modo, nel momento in cui scrivo, ho la netta sensazione di vedere, o rivedere, delle scene della mia vita o di una vita che non ho mai vissuto, dei volti di persone amate, perse, ritrovate, desiderate: cerco di toccare i loro visi, di accarezzarli, quantomeno di sfiorarli e, successivamente, di trasformarli in parole.

Detto questo, sono convinto che il mio talento di scrittore e di musicista si misuri dalla capacità che ho di riuscire in tale intento, oltre che dalla tecnica che sono riuscito ad acquisire per farlo, giacché ho la certezza di non essere un creatore, ma solamente un “sintetizzatore”. C’è, infatti, solamente un Creatore in grado di far esistere le cose, di portare alla luce la bellezza dal niente. Gli esseri umani, anche i più grandi artisti, possono riprodurre, in maniera sublime ma pur sempre imperfetta, quello che hanno visto, vissuto, sentito, in base a precise regole e tecniche, e tuttavia non riusciranno mai a produrre bellezza dal nulla.

Se tutto ciò è vero – ed io sono convinto che lo sia – e se l’artista è colui, come scrivevo prima, che è capace di sintetizzare la bellezza che ha visto e colto in qualcosa, allora non credo che si possa definire tale soltanto chi scrive, compone, suona, scolpisce, dipinge, fotografa. Non è forse vero, seguendo questo ragionamento, che un padre o una madre sono degli artisti, così come le persone, gli esseri umani, sono la più grande opera d’arte?

Un figlio non lo si crea dal nulla, ma lo si concepisce in base a un procedimento particolare e naturale (oggi sempre più in discussione, ma questo è un altro discorso). La maestria dell’artista – padre o madre – la si misura dal modo in cui il suo pennello, il suo scalpello o la sua bacchetta di direttore d’orchestra sono in grado di trasmettere bellezza a suo figlio, di dargli quel quid che gli permetterà di cogliere, a sua volta, bellezza nella propria vita e di trasmetterla al suo prossimo.

Di recente, è venuto a mancare il padre di due grandi amici. Io non lo conoscevo, ma conosco i suoi figli, così come conosco i figli di tanti padri e madri che non ho mai incontrato. Ho sperimentato nella mia vita, per la bellezza che queste persone mi hanno donato, che esse sono delle opere d’arte, il cui creatore assoluto è sicuramente Dio, ma il cui “sintetizzatore” è qualcuno che ha dato loro colore, vita, consistenza, armonia usando sangue, seme, utero, fatica, amore, dedizione, sacrificio. Ovviamente, è chiaro che un padre e una madre naturali non possono, da soli, contribuire alla costruzione di un’opera d’arte così grande qual è una persona e che, di conseguenza, ci sono, nell’esistenza di ognuno di noi, diversi padri e madri che danno la vita perché noi ne abbiamo in abbondanza.

Ho detto questo, in conclusione, solamente per affermare, con convinzione assoluta, che vi sono tante forme d’arte, ma che il vero artista è colui che vede la bellezza ove non sempre gli altri riescono a percepirla e sa riprodurla. Un padre, una madre, un amico, una moglie, un buon maestro e una guida spirituale non sono meno artisti di Michelangelo, anzi: le opere di Michelangelo non si muovono, non parlano, non amano… Le persone sì!

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