L’anima del mondo

A volte mi immagino elevarmi da terra ed arrivare in cielo, per vedere il nostro pianeta dall’alto, baciato dai raggi del sole. So che la bellezza del nostro mondo mi stupirebbe, come succede già quaggiù, e che vivrei lontano dai rumori, dalle angosce, dalle ingiustizie e da ogni tipo di sofferenza. Riconciliato con me stesso e con Dio, annullerei il tempo, le distanze, la separazione dai miei cari; vivrei sempre unito a tutti coloro che amo e nulla potrebbe più dividerci.

Sovente, ho riflettuto sul significato della mia vita come cristiano nel mondo di oggi. La parola “mondo”, infatti, suscita in me, spesso e inevitabilmente, un’avversione mista a desiderio e paura: le cose del mondo; conformarsi alla mentalità del mondo; vincere il mondo. Per lo più, il senso religioso spinge a considerare questa terra come qualcosa di negativo ed è naturale pensare alla santità come all’opposto di ciò che si conosce, attribuendo ad essa lo stesso significato che le era dato nell’antichità: qualcosa di separato, messo da parte (così la radice del termine qadosh, santo in ebraico e nelle lingue semitiche), estraneo, vietato (in latino, sanctus è il participio passato del verbo “sancire”, ovvero sanzionare).

Così, ho pensato anch’io, in passato, che la mia vita dovesse scorrere su un binario parallelo a quello degli altri uomini e che le vie mie e degli altri non si sarebbero mai e poi mai incontrate: santi o peccatori, paradiso o inferno, salvezza o dannazione.

In un’epoca incerta come quella che stiamo vivendo, il gesto di Gesù che lava i piedi al mondo, all’uomo, dando la vita perché questo sia salvo, suona quanto mai fuori luogo, inopportuno, quasi scandaloso. Dio è venuto nel mondo a farsi uomo, stravolgendo il nostro concetto di santità e di devozione e dichiarandoci “mondi”, ma noi abbiamo messo al centro dell’universo non Dio e non più l’uomo (come ingenuamente continuiamo a credere).

Nella Lettera a Diogneto si parla, per i cristiani, di un “posto nel mondo che non è lecito abbandonare”. Il termine usato, taxis (questa parola, in greco, indica la disposizione da mantenere durante una battaglia), corrisponde, per me, alla vera santità, ovvero ciò che ho chiesto per me e per i miei cari per questa Pasqua.

Che cosa, tuttavia, significa oggi essere santi, qual è la mia taxis, il mio posto nel mondo? Faccio mie le parole di Papa Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto XVI: occorre “aprire, anzi, spalancare le porte a Cristo”, senza paura di lasciarsi “mettere da parte” da lui e per lui. La santità, quindi, è lasciare entrare Dio nella mia vita, perche Egli mi renda non estraneo a questo mondo, bensì, pur essendo “consacrato”, messo da parte, riservato, capace di donarmi totalmente ad esso, divenendone l’anima.

Questo, tuttavia, non è sempre facile, anzi! Mettersi da parte rispetto al mondo significa non rispettarne le priorità, ma dare alla propria esistenza un’agenda in cui i compiti, i doveri, le cose da fare, i sogni e i desideri, pur rimanendo il più delle volte quelli di un uomo qualunque, siano posizionati in maniera diversa sul calendario e in cui i mesi, gli anni e il tempo in generale divengono eternità e l’unico giorno che è possibile visualizzare è oggi, con una sola scadenza: “lascia che Dio ti santifichi qui ed ora, con i doni che ti ha dato, senza aspettare di essere qualcuno o qualcosa che ancora non sei e che forse mai sarai”.

A chi è dato di aggiungere soltanto un minuto alla propria vita? Perché, dunque, ripetermi boriosamente “io sono”, se poi entro continuamente in contraddizione con me stesso, ostinandomi a vivere per un altro concetto, “io vorrei essere”, oppure “io sarò”, e concentrandomi solo sulle guarigioni non ottenute, sui traguardi e gli obiettivi mai realizzati, sulle cose che non vanno in me e in chi mi circonda?

Oggi so che la vera santità è amare davvero il mondo, arrivando a vederlo per ciò che potenzialmente è, locus mundus, cioè un “luogo mondo”, pulito, mondato, lavato, ornato, bello.

Anch’io sono locus mundus se consapevole di essere stato mondato, purificato e preparato per donare me stesso qui, oggi, così come sono.

Qui di seguito alcuni passi tratti dalla Lettera a Diogneto (Anonimo II sec. d.C.), V-VII:

  1. A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani.
  2. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra.
  3. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile.
  4. La carne odia l’anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai piaceri.
  5. L’anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano.
  6. L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo.
  7. L’anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l’incorruttibilità nei cieli.
  8. Maltrattata nei cibi e nelle bevande l’anima si raffina; anche i cristiani maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano.
  9. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare.

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