
Sono seduto in mezzo al deserto assolato, perso, solo. Il vento trasporta la sabbia tutt’intorno a me, come in un vortice che mi travolge con il suo calore e inaridisce la mia pelle, i miei occhi, la mia speranza. Non so dove andare, non c’è rifugio né scampo dai raggi che si abbattono sulle dune e che mi privano della vita goccia dopo goccia.
Mi alzo, provo a camminare, ad allontanarmi, per andare non so dove… Perché, per migliaia di miglia, non c’e altro che deserto.
Cado a terra e, all’improvviso, prigioniero di un miraggio o della speranza di trovarmi in un posto migliore, comincio a tracciare davanti a me i contorni di un paradiso immaginario, usando un pennello magico, lo stesso che, ingenuamente, penso possa aver usato Dio quando ha creato questo mondo.
Coloro la sabbia di verde, immaginando possa trasformarsi nei verdi prati d’Irlanda. All’orizzonte, traccio una linea blu, ben definita, riempio il vuoto con l’azzurro del Mediterraneo mettendo, qua e là, delle piccole isole circondate dalla spuma del mare e dotate di spiagge bianche con sabbia finissima. Più in là, sulla destra, innalzo le alte montagne del Libano, mentre, a sinistra, le Alpi coronate di neve, ornando tutti i monti di ricchi pascoli, ruscelli, laghi ed ogni tipo di albero da frutto; aggiungo cedri, ulivi, querce e ginepri, pini e abeti, facendone crescere uno proprio sopra la mia testa, a ripararmi dai feroci raggi del sole.
Il cielo lo lascio così come, terso, azzurro, estivo, come quello che conosco fin da bambino, che sa di Italia, di Grecia, di Spagna e di Medio Oriente.
Dedico il passo successivo all’olfatto e al gusto, riempiendo il mio paradiso di odori e sapori del mio paese, di profumo di gelsomini e tiglio, di lavanda e fiori d’arancio, ma subito vado ad occuparmi del senso per me più importante: l’udito. Infatti, per ogni angolo del mio mondo creo un’orchestra che suona musica di Mozart; sulle vette delle montagne colloco dei pianoforti che diffondono per le vallate i notturni di Chopin; in una radura, invece, protetta da un bosco di alberi sempreverdi e accompagnata da un coro formato dalle voci più belle mai esistite, metto lei, la mia Whitney, che canta ancora per me i suoi inni gospel.
Ora non sono più in mezzo a una landa desolata. Ho acqua, cibo, ristoro e riposo. Ma sono ancora solo. Mi accorgo, infatti, di aver dimenticato la parte più importante: il mio cuore.
Ecco, allora, che chiamo tutti i miei cari, familiari, amici, persone che ho amato per tutta la mia vita. Tutti lì, felici, insieme a me, a godere della compagnia l’uno dell’altro, per sempre, senza più separazione, senza più dolore.
Realizzo, infine, che il mio paradiso non è poi tanto diverso dalla vita che ho avuto e chiudo gli occhi, grato e sicuro che quanto ho sperimentato quaggiù non sia che un anticipo di ciò che mi aspetta per l’eternità.