A volte sogni ancora di ergerti là, su uno sperone roccioso, isolato, al di sopra di tutto e di tutti, di sovrastare ogni creatura con la tua maestosità, la tua imponenza e la tua impenetrabilità. Vorresti apparire inespugnabile, invulnerabile, inaccessibile e invece, quando ti svegli, non ti resta altro che un pugno di macerie. Allora, non sei più ancorato sulla roccia, ma nella voragine di un dirupo, quelli che prima immaginavi lontani, laggiù a valle, piccoli, incapaci di nuocerti, di farti del male in alcun modo, ora sono davanti a te, sopra di te, ti assalgono, ti calpestano, ti colpiscono, ti demoliscono e tu cadi, cadi rovinosamente a terra, conosci il sapore amaro della sconfitta e ti senti annientato.
Pensavi di aver scelto bene i materiali da usare per la tua costruzione, avevi progettato meticolosamente dove collocare le feritoie, dove le mura e dove le torri ed i bastioni; avevi, poi, provveduto a circondarti di un fossato, a premunirti contro ogni attacco e non uscivi mai, proprio mai, dal tuo piccolo mondo, se non per qualche breve sortita. Quando lo facevi, però, eri sempre armato di tutto punto. Il nemico, infatti, non doveva coglierti impreparato.
Poi, come nebbia che cala silenziosa sul far del mattino, il tuo oppressore, dopo averti trovato, ha avuto la meglio e non è bastata la muraglia più resistente a salvarti: quando la nebbia si è alzata, di te non rimaneva pietra su pietra e la tua rovina è stata grande.
Oltre al trauma della sconfitta, alle grida lancinanti del tuo orgoglio ferito ed al dolore per le ferite enormi tra le tue mura, ti rimaneva un interrogativo: come era potuto accadere tutto questo? Dunque, tra te e te, hai ripensato ai dettagli, a quello che potevi aver fatto male, a dove potevi aver sbagliato, soprattutto perché l’elemento costante che avevi voluto mostrare a tutti quelli che ti guardavano e pensavi ti temessero era sempre e soltanto uno: la forza. Sì, ti avevano detto che quello era il materiale più in voga, il più resistente e il meno fragile di tutti. Così ti avevano detto. Ah, se non li avessi ascoltati! O, forse, se li avessi ascoltati meglio!
Nella foga di volerti difendere, di far presto per non lasciarti sorprendere e trovare impreparato quando gli assalitori fossero arrivati, non hai prestato attenzione agli esperti capomastri che volevano aiutarti a tirar su quella dannata costruzione. Quindi, allorché si trattava di ordinare i materiali, ti ricordavi solamente una parte del nome di quello che avresti utilizzato, che non doveva affatto essere la forza, bensì la fortezza.
Fortezza, sì, come avevi potuto confonderti così? Per errore – ricordi – te ne avevano anche consegnata un po’, ma l’hai messa da parte, nelle segrete, pensando non ti sarebbe mai servita. D’altronde, non dicevano forse le istruzioni che si trattava di materiale alquanto raro che non ti avrebbe protetto dalla possibilità di essere attaccato o danneggiato, bensì ti avrebbe dato l’unica certezza che le fondamenta su cui sei costruito non avrebbero ceduto mai, che avresti resistito, pur nella debolezza, a qualsiasi nemico, che saresti stato capace di non arrenderti di fronte a tutti gli assalti mossi contro di te? Già, ma tu non volevi questo: tu desideravi soltanto proteggerti, isolarti, rimanere al sicuro e non dover neanche trovarti a fronteggiare il tuo nemico. Lo temevi pavidamente, lui era il tuo incubo. Per questo non hai badato a quel po’ di fortezza che ti avevano mandato, per questo sei andato a isolarti su quello sperone pressoché irragiungibile. Così facendo, hai finito per assediarti da solo.
Ora, tutto ciò che ti rimane è quel poco di fortezza lasciato giù nelle segrete, impolverato, abbandonato. Quasi senza speranza, ti accorgi che puoi usarlo per costruire qualcosa che, pur non diventando esattamente ciò che avevi edificato prima, almeno stia in piedi. E piano piano cominci e realizzi che quella nuova costruzione, apparentemente più misera, fragile, forse un tantino traballante, decisamente non appariscente, miracolosamente regge, anzi non la smuovono neanche le cannonate. Hai voluto ancorarla alla roccia sottostante e questo le garantisce ancor più stabilità. In più, hai finalmente permesso che qualcun altro venisse ad edificare la propria costruzione accanto alla tua, provando a mettere da parte, con immensa fatica, quella sfiducia e quelle paure ataviche che ti porti dietro. E vedi che funziona. Certo, non sarai un magnifico maniero, ma resti pur sempre una piccola, grande fortezza che prende il nome dal materiale con cui è stata edificata. Forse è questo ciò che dovevi diventare.