Notte di un’anima

Vincent Van Gogh, “Notte stellata sul Rodano” (1888)

La notte è spesso vista come periodo di passaggio, di riflessione, di solitudine e di rimpianto. Tanti personaggi di rilievo e santi, come San Gregorio di Nissa, San Giovanni della Croce e la Beata Madre Teresa di Calcutta, parlavano, poi, di una notte dell’anima, descrivendo questa come, da un lato, l’assenza di percezione di Dio, il senso di abbandono e l’assalto incessante da parte di tentazioni, paure, sofferenze; d’altro canto, tale situazione finiva per culminare nella pace, nell’affidamento dell’anima a Dio, nella quiete e nel distacco da tutto ciò che impedisce l’unione mistica con la divinità.

In letteratura troviamo vari esempi di anime tormentate che, nella notte fisica e spirituale, si pongono domande, cercano risposte, desiderano e, a volte, non trovano sostegno e consolazione. Tra questi, quelli che ho amato di più, sin da liceale, sono senza dubbio Gesù nell’Orto degli ulivi, nei Vangeli, l’Innominato, nel cap. 21 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, e la disperata regina Didone, nel IV libro dell’Eneide di Virgilio.

Non amo parlare di Gesù come di un personaggio, ma, in questo caso, lo assimilerò agli altri due, anche per sottolineare quanta umanità e, dunque, universalità possiamo trovare in questi brani letterari, nei cui protagonisti vi sono, indubbiamente, diverse somiglianze. Tutti si trovano, infatti, in un momento drammatico della propria vita, di fronte a una “passione”, in preda a un’agonia: Gesù è alla vigilia della sua dolorosa crocifissione e morte sul Calvario, suda sangue, trema per la paura e chiede al Padre che il destino infame che lo attende sia allontanato da lui, ma, alla fine, si abbandona fiducioso alla volontà di Dio; Didone è rimasta folgorata da Enea e, ardente di desiderio, si strugge per lui e non sa se abbandonarsi o meno al nuovo e irresistibile sentimento che nasce nel suo cuore; l’Innominato, infine, stupito e scosso dall’incontro con Lucia, è assalito dal ricordo del male compiuto nella sua vita e dall’improvvisa mancanza di senso di questa.

Quello che mi colpisce maggiormente è come, in tutti i casi menzionati, i protagonisti siano tormentati, agonizzanti, disperati mentre, intorno a loro, tutto tace: la natura fa il suo corso, le stelle sono là, fisse, in cielo, la quiete della notte non pare per nulla influenzata dalla tempesta interiore che ha luogo nei cuori di queste povere anime, gli apostoli di Gesù cadono addirittura addormentati, cosa che, vista l’ora tarda, non sembra neanche essere così fuori dal comune. Gesù si meraviglia che i suoi amici, coloro che egli ama così tanto e per cui sta per dare la propria vita, siano così indifferenti al suo dolore; Didone, indignata, si chiede come possa la natura intorno a lei non partecipare alle sue sofferenze e l’Innominato, chiuso nel suo castello ed in se stesso, appare ancora più isolato dal mondo esterno.

Ho come la sensazione che le anime di tutti i personaggi presi in esame siano scosse, attonite ed impaurite di fronte a qualcosa che cambierà radicalmente le loro esistenze, che li metterà in discussione, che darà loro la vita o la toglierà: un segno di contraddizione, la croce! Ognuno di essi, tuttavia, sceglie di affrontare il dramma in modo diverso: Gesù, l’unico che davvero può portare la croce, essendo egli stesso Dio, chiede aiuto al Padre e si abbandona completamente nelle sue mani; l’Innominato, che la sua croce non sa portarla, fa come farei io: si rivolge a qualcuno che possa aiutarlo a sostenerla, cioè lo stesso Dio cui si affida Gesù, attraverso la Chiesa ed il Cardinal Federigo Borromeo; Didone, dal canto suo, decide di prendere tutto il peso su di sé e, alla fine, delusa dall’amato, ribelle contro gli dei e contro il mondo intero, si suicida con un gesto plateale, bruciandosi su un’alta pira per essere visibile persino dalle navi di Enea, ormai lontane dalla costa cartaginese.

Quante volte ognuno di noi si sarà sentito smarrito in una notte tenebrosa! Quante volte avremo dovuto affrontare, nel mezzo del cammin di nostra vita, quella selva oscura che proprio vorremmo non voler attraversare, ché la diritta via sembra smarrita e – aggiungo – la nostra esistenza priva di senso, vuota, secca, come terra arida, senz’acqua!

Il problema è che la vita è fatta di giorno e notte, di luci ed ombre. Anzi, il più delle volte, per arrivare alla luce, bisogna attraversare la tenebra, per arrivare alla nostra destinazione bisogna percorrere quella diritta via che non è affatto smarrita, bensì passa, appunto, attraverso foreste minacciose, montagne impervie, ripide salite e spaventosi burroni. No, la diritta via non è smarrita, è semplicemente difficile da percorrere.

Quello che io mi limito a fare, quando le tenebre mi circondano, quando mi rendo conto che devo rinunciare a una parte di me per trovare il vero me stesso, quando sento che devo perdere qualcosa per guadagnarne un’altra migliore, quando il cammino si fa troppo faticoso, insostenibile, duro, io chiedo aiuto, ammetto di essere incapace di andare oltre e lascio che qualcun altro mi prenda per mano e mi aiuti a rimettermi in marcia. D’altronde, non mi vedo proprio a bruciare su una pira, non sono così valoroso, così nobile e così pazzo!

Nella mia vita, c’è una cosa per la quale sono particolarmente grato e della quale vado fiero: l’essere cresciuto nella disciplina, grazie alla famiglia, alla scuola, alla Chiesa, al mio cammino spirituale. Questo non mi ha reso migliore degli altri, anzi, a volte una caduta, un errore, una più o meno momentanea situazione di incapacità, quando si è così schematici come lo sono io, appaiono come delle vere e proprie tragedie irreparabili. Tuttavia, se si è abituati, come me, a lasciare che qualcuno esterno rispetto a noi guidi il nostro cammino, ci consigli nelle nostre scelte, ridimensioni il nostro ruolo e l’idea che abbiamo di noi stessi, sembra che tante piccole candele si accendano nel buio della notte e divengano sempre più luminose, sino a trasformarsi in grandi fari che guidano la nostra nave attraverso un mare in tempesta.

Per come la vedo io, non è dato all’uomo trovare la propria strada senza un Virgilio, senza un Federigo Borromeo, senza un Cireneo, senza un Padre che guidi sul giusto cammino e lo illumini, per amore del Suo nome.

Per come la vedo io, la notte è fredda, dolorosa, buia e spaventosa; rinunciare a ciò che non è buono per noi – ma lo sembra al momento – e ci impedisce di essere davvero felici e di vedere la luce è quantomai arduo e faticoso; fidarsi di chi ci promette un mondo migliore, una vita diversa, la pace interiore ed esteriore, dopo aver tribolato alquanto, è qualcosa di incredibilmente difficile. Tuttavia, io so, lo credo con tutto me stesso, che, per quanto lunga e tenebrosa possa essere una notte, essa prima o poi finirà e lascerà spazio all’alba di un giorno nuovo, un giorno nel quale ogni cosa sarà illuminata e acquisirà quel senso che prima non riuscivamo a darle.

 

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