Alzati e risplendi

Rovine della Cattedrale di Nagasaki distrutta dalla bomba atomica, 1946
Rovine della Cattedrale di Nagasaki distrutta dalla bomba atomica, 1946

Dedicato a Takashi Paolo Nagai e ai martiri di Urakami

Il 9 agosto 1945, alle 11:02 del mattino, un’orribile esplosione nucleare squassò il cielo su Nagasaki, in Giappone, proprio sopra la cattedrale della città, dedicata all’Assunzione di Maria. Ottantamila persone morirono e più di centomila rimasero ferite.

La cattedrale di Urakami, chiamata così dal quartiere in cui sorgeva, è il simbolo di una città due volte martire: per le persecuzioni religiose di cui furono vittime, nel corso di quattro secoli, centinaia di persone a causa della fede cristiana – primo tra tutti S. Paolo Miki – e per lo scoppio di un ordigno infernale che incenerì all’istante molti dei suoi abitanti, tra cui migliaia di cristiani, giustamente definiti da un loro illustre contemporaneo e concittadino, il dott. Takashi Paolo Nagai, “agnello senza macchia offerto in olocausto per la pace nel mondo”.

Non so perché stamattina, curiosando, per motivi di lavoro, su alcuni archivi informatici relativi ai nomi delle città del mondo, sono capitato su Nagasaki. Dovevo sistemare e riordinare alcuni dati, un lavoro noioso e di certo non appassionante. Eppure, arrivato su quella città, ho voluto saperne di più, forse perché giorni fa, su un canale di documentari, History Channel, mi aveva colpito l’apparente casualità dietro all’orrendo destino di questa sfortunata città.

Non sapevo nulla dei suoi trascorsi cristiani, dei suoi martiri, né conoscevo la figura splendida di Takashi Paolo Nagai. Sapevo solamente che il pilota dell’aereo americano che aveva sganciato il famigerato ordigno  – volutamente fatto esplodere dal governo statunitense nonostante la resa del Giappone fosse ormai imminente, soprattutto perché a Hiroshima, pochi giorni prima, era detonata una bomba di tipo diverso e su un territorio dalla conformazione differente, il che rendeva quindi necessario un nuovo esperimento – non aveva inizialmente scelto Nagasaki, bensì un’altra città, Kokura. Il lancio, tuttavia, non era avvenuto date le cattive condizioni atmosferiche persistenti sull’obiettivo primario.

Su Nagasaki, invece, eletta come “riserva”, splendeva il sole. Risultava, dunque, più agevole, dall’aereo, individuare il bersaglio prescelto in città, ovvero una fabbrica di munizioni. Una volta sganciato l’ordigno, tuttavia, si verificò un nuovo contrattempo: il vento deviò leggermente la traiettoria della bomba nucleare, facendola detonare proprio sopra il quartiere di Urakami, ove sorgeva quella che era a suo tempo la più grande cattedrale cattolica dell’estremo oriente, in quel momento gremita di fedeli che pregavano per la pace.

Verrebbe da domandarsi: è amore quello di un Dio che permette che migliaia di suoi figli innocenti periscano in questo modo in un istante, proprio mentre Lo stanno supplicando affinché il mondo si salvi dalla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale?

E’ quanto mi chiedo ogni volta che qualcosa che mi ferisce, o ferisce qualcuno a cui tengo, o che definisco “giusto”, immeritevole di cattiva sorte. Il male ai buoni, il bene ai malvagi: è ciò che ci ripetiamo. Sarà davvero questo che vuole Dio, da sempre?

Non secondo Takashi Paolo Nagai. Egli arrivò addirittura a ringraziare Dio per il sacrificio di tanti martiri polverizzati dalla bomba, inclusa la sua adorata moglie Midori – di cui il medico giapponese, lui stesso gravemente ferito e ammalato di leucemia, ritrovò, tra le rovine della loro casa, nient’altro che le ossa carbonizzate, con accanto la catena del rosario – e per la sorte beata riservata a coloro che erano morti in quel modo orribile, secondo lui divenuti strumento del Padre per salvare un numero infinitamente maggiore di vite.

Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro dipartita da noi una rovina, ma essi sono nella pace (Sap. 2, 23-3,9)

Anche Gesù, di fronte alle disgrazie di coloro che, nella visione del popolo, pagavano con la malattia e con la vita il fatto di essere peccatori, rispondeva che queste persone erano così “perché si compisse la volontà di Dio”: il cieco nato, la fanciulla morta e risuscitata, Lazzaro.

Ho fatto qualche piccola ricerca e scoperto che Ura-Kami vuol dire “baia di Dio”, o anche qualcosa che sta dietro a Dio. “Kami”, in giapponese, indica, infatti, la parola “Dio”.

“Thalitha kùm”, invece, significa in aramaico – lingua di Gesù – “fanciulla, alzati!”, dove “kùm” è un imperativo dal verbo “kama” (“alzarsi”, in molte lingue semitiche, tra cui ebraico, aramaico ed arabo).

Pensando alla somiglianza tra “Kami” e “kama”, ho iniziato, nella mia piccola, vivace e tormentata mente, ad associare tanti concetti diversi, soltanto in apparenza lontani tra loro: Dio; sacrificio; morire; risorgere; farsi distruggere e dare la vita per altri; sofferenza; dolore; Gesù.

La vecchia Gerusalemme deve morire per la nuova; l’antica alleanza ha bisogno di una vittima perché la nuova, più perfetta, possa nascere; l’Agnello senza macchia deve essere sottoposto alla morte di croce perché da Lui abbia origine la vita eterna, e con Lui i suoi seguaci che hanno lavato le loro vesti con il sangue dell’Agnello.

Concetti, questi, che sembreranno assurdi, a molti, ma che nella vita di un cristiano risuonano in continuazione.

Tanta distruzione, tanta desolazione, tanta morte, tanta ingiustizia… Perché?

L’unica risposta che mi sono dato è: àlzati!

Credo che se tutti noi ci rendessimo conto di quanto valore abbia il gesto di alzarci la mattina, per affrontare, il più delle volte, giornate che non avremmo affatto voglia di vivere, occupazioni e mestieri che ci danno il tormento, persone che non vorremmo incontrare, ebbene scopriremmo di essere noi stessi il carburante che fa andare avanti il motore scoppiettante, forse un po’ malandato, del mondo.

Non ci si alza al mattino perché se ne ha voglia. Ci si alza per un imperativo categorico, quello di mangiare, guadagnarsi il pane, vivere, far vivere chi dipende da noi. Lo si fa spesso in lacrime, senza alcun entusiasmo, al buio, con il suono orribile di un apparecchio che vorremmo lanciare contro il muro. Si esce al freddo, con gli occhi gonfi di sonno, chiedendosi come si farà ad arrivare alla fine di una giornata che, potendo scegliere, si farebbe di tutto per non vivere.

Risplendi! E’ un altro imperativo categorico per un credente. Personalmente, ogni santo giorno della mia vita, mi chiedo come farò a obbedire a tale comando, di quale luce potrò mai risplendere io, che mi sento tenebra più ancora della tenue luce mattutina che a malapena illumina la mia stanza quando suona la sveglia.

Evidentemente, senza un aiuto dall’alto, non sarei capace né di risplendere né di alzarmi.

Takashi Paolo Nagoi descrive così la sua idea di come a Nagasaki vi sia potuto essere dello splendore:

Quanto nobile, quanto splendido è stato l’olocausto del 9 agosto, quando le fiamme si sono levate dalla cattedrale, dissipando l’oscurità della guerra e portando la luce della pace!

Queste parole le pronunciava nel corso dell’elogio funebre per gli ottomila cristiani morti nel quartiere di Urakami a Nagasaki, a causa dello scoppio della bomba nucleare.

Una bomba nucleare. Nostro malgrado, è quello che ognuno di noi è chiamato a diventare, ovviamente in modo diverso, secondo quella che è la storia personale di ciascun uomo. Le bruciature, la rovina, le ferite, i chiodi, le spine, il dolore non scompaiono nella vita di un cristiano. Nell’esistenza di qualcuno, magari, vengono addirittura amplificate, eppure gli permettono di partecipare alla salvezza del mondo e di divenire sacrificio gradito a Dio.

Al mio mondo di piccoli sacrifici, la storia di Takashi e dei martiri di Nagasaki ha donato una commozione enorme, un grande rispetto e grande amore per il popolo giapponese, molto più vicino di quanto non immaginassi, una grande partecipazione alla sua immensa sofferenza, nonché infinita stima. Il tutto, ovviamente, misto alla gratitudine e alla speranza che ogni sacrificio, anche quello che è nascosto al mondo, agli occhi di Dio valga molto, ma molto di più che agli occhi degli uomini.

Basta solo continuare ad alzarsi. Con fatica, con dolore, l’importante è alzarsi. E, quando si cade, rialzarsi. Lo splendore verrà, quando sarà il momento, magari quando io neanche me ne accorgerò perché, per risplendere, sarò già divenuto fumo.

 



“Alzati e risplendi”, dal Libro del Profeta Isaia, cap. 60

Storia di Takashi Paolo Nagai

Dr. Takashi Nagai’s Funeral Address for the 8000 Catholic Victims of the Atomic Bomb

 

 

   

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