(scritto dopo il terremoto di Haiti)
Come le madri la notte della strage degli innocenti, come le donne giudee discendenti di Rachele e Giacobbe, Haiti piange i suoi figli e non vuole essere consolata, giacché essi non sono più.
Io, invece, sono ancora qui. E’ notte e mi chiedo il perché. Perché sono ancora vivo? Perché non il mio mondo, i miei affetti, la mia casa sono stati distrutti? Perché non mi sono svegliato io, una mattina, senza trovare intorno a me nient’altro che macerie? Sono forse io migliore di tanti innocenti, più utile a Dio di tanti suoi servi che sono andati a morire laggiù per dar da mangiare agli affamati, aiutarli a costruire un Paese più giusto, portare loro una parola di conforto e diffondere il Verbo di Dio? No, assolutamente no… Eppure sono qui e, confuso tra angoscia, senso di colpa, preoccupazione e gratitudine, ringrazio Dio perché sono vivo, pur con i miei limiti, le mie mancanze, la mia povertà umana e spirituale; ma amo la mia vita, la amo così com’è e amo Dio perché me l’ha data. Mi sento proprio come quella cananea che mendicava l’aiuto di Gesù, sapendo di non esserne degna, di essere come quei cagnolini per i quali non è lecito togliere cibo ai padroni ma che, avendo fame, girano intorno alla tavola dei loro padroni e si saziano delle briciole che ne cadono.
Dio su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido, ho sperato, ho sperato in Lui, anche quando dicevo di essere troppo infelice, ed Egli mi ha esaudito. Eppure, non so che cosa rendergli per quello che mi ha dato, mi sento talmente piccolo da aver paura di perdere quelle briciole che costituiscono, nella mia ottica, la certezza della mia esistenza: casa, affetti, auto, lavoro. Sono talmente grato a Dio di avermi dato queste cose da dimenticarmi ciò che è più importante: “uomo infimo, vermiciattolo di Giacobbe, non sei nessuno perché Dio si curi di te” – mi dico – “e ti attacchi anche a quanto vi è di più futile! Hai paura di perdere le quattro mura in cui torni quasi esclusivamente a dormire – e che potrebbero crollarti addosso da un momento all’altro – dopo aver passato tutto il giorno a lavorare: non ti ha forse promesso Dio un Regno intero? Dunque, ti meravigli che ti doni anche un posto dove poggiare il capo? Non ti ha forse ricolmato il tuo Signore di ricchezze molto più durature e appaganti di quegli oggetti di cui ti circondi e di cui, a volte, ti prendi cura quasi fossero più importanti dei tuoi fratelli? Non è forse venuto il tuo Redentore a morire per te, per darti la vita eterna? Perché, allora, continui a stupirti del fatto che respiri? Rimani, piuttosto, attonito di fronte al mistero della tua vera essenza, quella di figlio di Dio, di erede del suo Regno, di membro del suo Corpo. Anziché chiederti il perché sei ancora vivo, da’ la tua vita, offrine ogni soffio, ogni istante, vivila! Non sprecare il tempo che ti resta, accetta i doni che Dio ti ha riservato e servitene, falli fruttare, diventa tu stesso dono per gli altri, benedizione per chi si sente maledetto”.
La vita, i sogni, i progetti, gli affetti non sono un diritto, ma una grazia, un regalo che ci è stato fatto e che non abbiamo meritato più di quanto altri, che hanno perso tutto, non meritassero.
Che cos’è l’uomo perché Dio se ne curi? Non siamo di certo superiori agli angeli, eppure siamo stati rivestiti d’onore e di gloria, tutti, nessuno escluso. Proprio per questo, di fronte a disgrazie di dimensioni immani come quella di Haiti, dovremmo realizzare che tutto ciò che abbiamo non è perenne, ma non perché non sia bello o importante, semplicemente perché siamo stati destinati a qualcosa di ben più grande, che non finirà mai. Immagino quanti, in questo momento, si stiano chiedendo come mai Dio, il Padre celeste, colui che ci assicura protezione, riparo sotto le sue ali, rifugio dalla tempesta, permetta che i suoi figli periscano in un modo così orribile. Alcuni potranno persino domandarsi quanto fossero peccatori i nostri fratelli vittime di una tale ecatombe. Di certo, credo, non più di noi. Nel Vangelo, in occasione di una terribile disgrazia, ovvero il crollo di una torre in costruzione che aveva travolto e ucciso numerose persone che stavano lavorando alla sua edificazione, così come davanti al cieco nato, Gesù aveva risposto, a chi lo interrogava su quali peccati dovessero scontare coloro che erano stati colpiti da tali drammi, che non era per una punizione che queste cose erano avvenute, ma perché si realizzasse la volontà di Dio. Volontà di Dio? Un maremoto? Uno tsunami? Un incidente? La perdita di una persona cara? E’ difficile da spiegare, ma non posso che tornare a sperare in Dio e meditare le parole di San Pio da Pietrelcina, che definiva la Volontà di Dio come un merletto o un ricamo che viene guardato dal basso da un bambino: il lavoro appare quantomeno confuso, il tessuto informe, il ricamo senza senso. Guardandolo dall’alto, dalla parte di chi lo sta tessendo, tuttavia, tutto prende forma, acquista un significato e disegni prima incomprensibili appaiono ora bellissimi e sensati.
Haiti, sei lontana, piangi e non posso consolarti. Credo, d’altronde, che, pur cercando, ben poco potrei fare per te. Forse domani mi risveglierò, forse no… Vorrei, comunque, domani, nel mio mondo, divenire una benedizione per la mia Port-Au-Prince, per la mia Cité du Soleil, per coloro per cui posso ancora fare qualcosa. La mia vita mi attende, Dio mi attende. Non posso più lasciarmi aspettare