Quand’ero bambino, una maestra dell’asilo mi scrisse una lettera. Mi descriveva come un bambino riflessivo, solitario, pensieroso. Mi chiedeva come mai non mi godessi la dolce spensieratezza della mia età e mi ripeteva che, secondo lei, sarei diventato qualcuno.
Mia madre ha conservato questa lettera in uno di quei diari in cui si chiudono tutti i ricordi d’infanzia, così, nel tempo, ho continuato a leggerla e rileggerla, domandandomi sempre che senso avessero quelle parole e che cosa direbbe di me quella maestra se oggi mi incontrasse. Sono diventato quello che lei sperava, che lei sentiva? Chi è quel “qualcuno” a cui si riferiva tanti anni fa?
Oggi mi rendo conto che, in tutti questi anni, la mia vita era diventata un labirinto, come quella di molti uomini e donne di questo mondo. Era un labirinto freddo e grigio, fatto di paletti, schemi, pregiudizi e paure, costruito non soltanto in orizzontale, ma soprattutto in verticale. Qualcosa, sul soffitto, mi impediva di guardare il cielo. Forse ho un po’ confuso le parole della mia maestra, ho cercato sì di diventare, ma non qualcuno, bensì qualcosa. Lo vedo chiaramente: guardavo la mia vita dall’esterno, come uno spettatore, il mio collo era paralizzato da una specie di cervicale interiore che lo obbligava a rimanere sempre dritto ed il mio stomaco, riempito dall’acidità del mondo, non riusciva più a gustare i frutti prelibati che la nostra esistenza ha in serbo per noi, se solo li sappiamo cogliere.
Come Dedalo, ero rimasto prigioniero della mia stessa creatura, qualcosa che avevo costruito per impedire ai mostri di uscire e farmi male mi aveva intrappolato e paralizzato per sempre. Per non far venire fuori il Minotauro, mi ero chiuso dentro con lui. Lunghe ed alte mura scorrevano alla mia destra ed alla mia sinistra e, sopra di me, un intrico di rovi spinosi talmente fitto da non lasciar entrare neanche la luce del sole.
Un giorno, mentre vagavo all’interno del labirinto, da solo e senza una meta precisa, ho incontrato un uomo che – mi ha detto – si era chiuso lì volontariamente soltanto per farmi compagnia e dirmi che non ero da solo. Quell’uomo mi ha anche rivelato di possedere la chiave per uscire dalla prigione in cui ci trovavamo e che, al di fuori di essa, esisteva un universo intero, eterno, immenso, di cui non conoscevo l’esistenza: io ero fatto per quell’universo e, se solo l’avessi voluto, lo sconosciuto mi avrebbe aiutato a scappare dal labirinto. Ora potevo scegliere di essere libero, ma temevo ciò che avrei scoperto fuori e, soprattutto, mi terrorizzava l’idea di rischiare di morire fuggendo dalla mia prigione. A quel punto, l’uomo di fronte a me ha indicato le mie spalle e, voltando la testa, ho scoperto di avere delle ali pronte a spiccare il volo. E’ strano, avevo sempre saputo di avere qualcosa di speciale, mi chiedevo a che cosa servissero certe cose che sapevo fare, certe caratteristiche solo mie, ma non ero in grado di vedere, di capire e, soprattutto, di alzarmi da terra.
L’uomo, di fronte al mio scetticismo, mi ha chiesto se volessi essere libero. Io, senza più esitare, gli ho risposto: “Sì, voglio essere libero!”.
Con la chiave dorata che aveva in mano ha aperto una piccola finestra tra i rovi che, immediatamente, sono caduti come scaglie su di noi, trasformandosi in piccoli fiori bianchi, come quelli dei mandorli a primavera. Poi, la luce! Una luce fortissima ci ha inondati, l’azzurro del cielo era bellissimo e il calore dei raggi del sole quasi bruciava. Ho avuto ancora paura, perché sapevo che, da solo e senza l’aiuto di qualcuno, non sarei mai stato in grado di sopravvivere a quel calore, a quell’immensità. La cera che teneva incollate le mie ali si sarebbe sciolta come neve al sole ed io sarei precipitato, come Icaro, negli abissi del mare.
L’uomo, allora, mi ha spiegato che al mondo ci sono tanti Icaro. Costoro – diceva – pensano di poter volare da soli e si ostinano a voler osservare la propria vita dall’esterno, come facevo io. Essi hanno incollato le proprie ali con la cera perché ciechi, incapaci di distinguere quella dal cemento ed anche ingenui: si fidano di altri che, ciechi più di loro, li condannano a morte. Mi tornava in mente, in quel momento, il tentativo di tanti storici e studiosi i quali tentano di osservare la fede con occhi increduli e critici, bollandola come follia anacronistica, usando parole non loro per parlare di se stessi, divenendo un libro di citazioni ambulante. Avrei fatto come loro? Sarei stato un turista che si lascia condurre in una visita guidata alla propria vita? Quale collante avrei scelto per le mie ali?
Ho raccontato quello che mi passava per la testa, i miei dubbi e le mie paure al mio compagno, all’uomo che mi aveva ricordato che avevo le ali, ma poi gli ho detto che avevo deciso: da quel momento non avrei più solo studiato la storia della mia vita, della mia fede, la ragione della mia esistenza; da quel momento avrei fatto la storia e sarei diventato quel qualcuno di cui parlava la mia maestra d’asilo: avrei finalmente usato le mie ali e tutte le cose che avevo per liberare me stesso e raccontare ad altri, prigionieri come me, le gioie della vera libertà.
Dopo avermi versato, prendendola dal suo costato, un’abbondante dose di vera supercolla sulle ali, l’uomo mi ha preso la mano e insieme abbiamo iniziato a volare, sempre più su. Il calore del sole cresceva, ma le mie ali rimanevano saldamente ancorate alle mie spalle. Vedevo il labirinto dall’alto e pensavo a quanto orribile fosse l’idea di trascorrere l’intera mia esistenza in uno spazio così ristretto e così angusto e, tuttavia, mi rendevo conto che l’intrico e il disegno delle sue vie aveva un senso che ora, alla luce del sole e da un’altezza considerevole, tornavo a scoprire.
Dal giorno in cui tutto questo è successo, sento davvero che mi sto avvicinando ad essere la persona che sono nato per essere. Io e l’uomo che mi accompagna non abbiamo ancora raggiunto la meta designata, ma va bene così. Mi limito a lasciarmi portare in volo da lui e gli credo quando mi ripete che un anno di grazia è stato proclamato per me: un anno in cui ho spiccato il volo, lasciando il mio dedalo di viuzze, dopo aver deciso di conoscere la bellezza e l’immensità della mia vera vita e di diventare finalmente qualcuno: me.
senza avvedermene avevo scelto la stessa immagine per un articolo sul mio blog… è curioso come la medesima immagine possa comunicare sensazioni tanto diverse
L’ha ribloggato su Lacapannadellozioblog.