Illustre Teofilo,
La tua ultima lettera mi ha lasciato alquanto preoccupato: leggo che sei stanco, spossato, che ti chiedi il perché di tante, troppe cose e ti domandi che senso abbia continuare a sfidare il mondo, ribellarsi all’assurda evoluzione del modo di pensare degli uomini, sentirsi sempre più soli contro tutto e tutti.
Ti ho lasciato tempo fa a valle, alla foce, promettendoti che, iniziando io a risalire il fiume, ti avrei atteso a metà strada, prima di giungere alla sorgente. Eri allegro e contento al pensiero di dover cominciare una nuova avventura, sebbene io ti avessi messo in guardia dai pericoli del cammino che stavamo per intraprendere, dalle mille insidie che ci attendevano lungo il percorso, non nascondendoti la difficoltà di seguirmi nel luogo dove sto recandomi. Ora, invece, vengo a sapere che lasciandoti il mare alle spalle e avendo appena iniziato a remare controcorrente, sei già in crisi, pur se è ancora agevole, nel punto in cui ti trovi, condurre una barca a monte, visto che l’acqua è ancora relativamente calma e profonda, sebbene torbida e limacciosa, come quella di tutti i fiumi che giungono alla fine del loro corso.
Qui dove sono io, invece, il fiume, pur rimanendo abbastanza ampio e silenzioso, incomincia a restringersi verso le montagne che già si stagliano di fronte a me, grandi e minacciose, mentre la corrente diventa via via più forte e mi impedisce di remare, tanto che ho dovuto lasciare la barca e proseguire a piedi.
Tante sono le insidie che ho dovuto affrontare e non sto qui ad elencartele, anche perché temo che ti spaventeresti ancora di più. Anch’io, inoltre, mi sento solo e spero di potermi al più presto ricongiungere con te.
Non so dove ci condurrà questa strana avventura, so soltanto che il richiamo della nostra patria perduta e lontana mi spinge ad andare avanti, nonostante i mille lussureggianti paesaggi – uno più bello dell’altro – che ho ammirato finora, la bellezza delle donne dei posti che ho visitato, le promesse di un sicuro avvenire in ognuna delle città dove mi sono fermato a riposare. Niente, però, è riuscito a trattenermi, la voglia di tornare a casa nostra è un desiderio irresistibile che mi fa considerare tutte le cose che vedo – e che sarebbero una tentazione invincibile per ogni uomo – come spazzatura.
Ricordi il giorno in cui ti ho proposto di partire con me? Mi hai quasi riso in faccia. Pur condividendo, infatti, il mio sogno di rivedere il luogo in cui siamo nati, di comprendere il senso della nostra vita, ti chiedevi come mai fossi disposto a lasciare tutto ciò che avevo, le mie sicurezze, le mie legittime aspirazioni a realizzarmi come uomo e come lavoratore nella città in cui vivevamo. Sì, mi prendevi quasi in giro, rimproverandomi la follia di voler piantare in asso ogni cosa per un posto che, in realtà, neanche ricordavo come fosse fatto, visto che l’avevamo abbandonato prima che potessimo averne addirittura memoria. Eppure, come se quel luogo fosse rimasto impresso dentro di noi, è sempre ad esso che sogniamo di tornare. Nessun luogo al mondo può essere altrettanto bello.
Ed ora eccoci qua, entrambi in cammino, entrambi soli, io quasi a darti ragione e a sospirare la tranquillità dei giorni oziosi laggiù sulla riva del mare.
Devi sapere, tuttavia, che, qui dalla sponda del fiume, riesco a vedere degli strani pesci che mi hanno ricordato la nostra condizione, sicché ora sono sicuro, amico mio, che non siamo gli unici esseri sulla terra che sono tanto pazzi da voler sfidare le correnti e la logica superficiale degli altri animali, come tu invece credevi. Miei compagni di viaggio, ora, sono i salmoni.
Essi nascono lassù, vicino alle vette dei monti, dove le acque dei fiumi sono talmente limpide da potertici specchiare e l’aria è fresca e frizzante: casa nostra. Poi, anch’essi li lasciano condurre verso il mare, dove trascorrono, nelle profondità dell’oceano, quasi tutta la loro esistenza, esattamente come tutti i pesci, passando il giorno a soddisfare i loro bisogni più elementari, lasciandosi trasportare dalle correnti sottomarine fino a disperdersi lungo spazi immensi.
Tuttavia, a un certo punto della loro esistenza, questi singolari animali decidono di ritornare dove sono nati per riprodursi, e sai come ci riescono? Essi si fanno guidare dal sole, quando si trovano ancora in mezzo all’oceano, e poi dall’olfatto e da altri misteriosi segnali, per tornare, inspiegabilmente, nel posto esatto in cui hanno visto la luce. Per farlo, risalgono, come noi, il fiume. Molti di loro muoiono lungo il cammino, divorati dagli orsi, fiaccati dalla fatica e spaccati dallo sforzo di sfidare la corrente, le rapide e gli ostacoli, ma i più forti arrivano e si ammassano lì dove il fiume stesso si riduce a un piccolo stagno dalle acque trasparenti e bassissime, così basse che per un pesce è pressoché impossibile viverci e nuotare. Vi giungono così trasformati che nessuno potrebbe riconoscervi l’animale maestoso che abitava nel grande oceano, tanto il loro aspetto muta in forma e colore. Divengono brutti, gracili e perdono tutta la bellezza e lo splendore che avevano in acqua salata.
Negli specchi d’acqua di montagna, i salmoni si riproducono e poi muoiono immediatamente, vittime dell’estremo sforzo di risalire la corrente per centinaia di miglia. Essi sanno, tuttavia, per qualche misteriosa ragione, di aver compiuto il proprio destino, di aver dato la vita ad altri esseri viventi, più forti e numerosi di loro, e le loro carcasse, portate via dal fiume, nutriranno quest’ultimo e le creature che vivono lungo le sue rive. Questi bizzarri pesci diverranno essi stessi un fiume che porta vita e fecondità anche sulla terraferma, agli alberi, agli animali, agli uomini. Si può dire che, in queste lontane foreste, i salmoni siano ovunque: nella terra, nell’aria, nell’acqua, nei corpi degli esseri viventi e nei tronchi degli alberi, sui petali dei fiori e sulle ali delle farfalle. Essi alimentano il ciclo della vita.
Così anche noi, mio caro Teofilo, a un certo punto abbiamo deciso di non seguire più la corrente che ci aveva trasportato di qua e di là per tutta la nostra vita, ma, pur con timore, ci siamo dati un nuovo obiettivo: tornare a casa, spenderci, consumarci perché altri potessero vivere di noi e godere, nei loro corpi e nelle loro anime, del frutto della nostra vita. Abbiamo lasciato il mare e la tranquillità, abbiamo guardato a volte con tristezza ma mai con rimpianto a coloro che continuavano ad inseguire la ricchezza e l’abbondanza delle acque profonde e ci siamo spogliati della nostra apparenza esteriore.
Anche noi giungeremo lassù e smetteremo di essere come sempre siamo stati. Non so dirti che cosa sarà di noi, perché anch’io, come te, non ho memoria del luogo favoloso in cui siamo stati generati. Tuttavia, ho fede che tutta questa fatica non sarà stata vana. D’altronde, per me come per te, il richiamo del giardino della nostra infanzia e di Colui che ci ha messi al mondo è più forte di tutto.
E nulla, neanche le acque più pescose, potrebbe far desistere il mio cuore dal voler tornare là, oltre le rapide, più su delle cascate.
L’ha ribloggato su Lacapannadellozioblog.